I cervelli di Boltzmann

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    La fisica moderna ci ha abituato a concetti che, pur sembrando assurdi, sono ormai parte del nostro universo, come le stelle di neutroni o i buchi neri. Ma esistono anche teorie ipotetiche che potrebbero essere vere oppure no, come il multiverso. Tra queste idee speculative, una delle più incredibili è quella dei “cervelli di Boltzmann”, una nozione che richiama alla mente le teste di “Futurama”, ma che nella cosmologia ha un nome più austero. Ma cosa sono esattamente questi cervelli di Boltzmann e quanto seriamente dovremmo prenderli?

    Per comprendere l’idea, dobbiamo partire da Ludwig Boltzmann, un fisico austriaco dell’Ottocento che ha gettato le basi della moderna teoria dell’entropia. Grazie ai suoi studi, abbiamo capito perché l’entropia, la misura del disordine in un sistema, tende sempre ad aumentare, e perché il tempo ci appare come una sequenza che procede dal passato al futuro.

    Boltzmann dimostrò che molti principi della termodinamica potevano essere spiegati attraverso la fisica statistica, ossia considerando che ogni sistema è composto da miliardi di particelle che si muovono in modo casuale. Ad esempio, un gas tende a riempire tutto lo spazio disponibile perché è molto più probabile che le particelle si distribuiscano uniformemente piuttosto che si concentrino in un angolo. Questo è lo stesso motivo per cui vediamo i bicchieri rompersi, ma non vediamo mai i frammenti ricomporsi spontaneamente.

    Dal punto di vista della fisica, nulla vieterebbe a un bicchiere di riformarsi, ma la probabilità che ciò accada è talmente bassa che, nella pratica, non lo vedremo mai succedere. Così, tutti i processi che osserviamo sembrano andare sempre in una direzione: quella dell’aumento dell’entropia, dal passato verso il futuro. L’entropia, dunque, è una misura della probabilità delle configurazioni possibili delle particelle in un sistema: più è alta l’entropia, più il sistema è disordinato. La seconda legge della termodinamica stabilisce che in un sistema chiuso l’entropia o rimane costante o aumenta; non diminuisce mai.

    Quando un sistema raggiunge la massima entropia, entra in uno stato di equilibrio e nulla di interessante accade più. Nel lontano futuro, l’universo potrebbe arrivare a uno stato simile, chiamato “morte termica”, in cui tutte le particelle sarebbero distribuite uniformemente e non ci sarebbe più alcun cambiamento significativo. Tuttavia, l’idea di Boltzmann ha una sottile complicazione: se l’entropia dell’universo cresce, significa che in passato doveva essere molto bassa, il che implica che l’universo doveva essere inizialmente in uno stato altamente improbabile.

    Boltzmann, riflettendo su questo, suggerì che l’universo potesse essere il risultato di una fluttuazione casuale in uno stato di massima entropia, un evento estremamente improbabile ma reso possibile dal tempo infinito. Immaginava che, in un universo eternamente vecchio e in equilibrio, potessero occasionalmente avvenire fluttuazioni che riducessero temporaneamente l’entropia, creando sacche di ordine come la nostra. Questo ordine locale permetterebbe l’esistenza di fenomeni complessi e persino di osservatori intelligenti, pur mantenendo il resto dell’universo in uno stato caotico.

    Tuttavia, i fisici successivi hanno individuato un problema in questo ragionamento. La probabilità che una fluttuazione generi un intero universo ordinato è molto più piccola rispetto alla probabilità che si crei una struttura minima necessaria per la presenza di osservatori intelligenti. In altre parole, sarebbe molto più probabile che si formasse semplicemente un cervello isolato, con false memorie e percezioni, piuttosto che un intero universo coerente. Questi ipotetici osservatori, chiamati “cervelli di Boltzmann”, sarebbero il risultato di fluttuazioni casuali in un universo altrimenti disordinato e privo di vita.

    Secondo questo modello, se il nostro universo fosse davvero il frutto di una fluttuazione, dovremmo osservare un cosmo disordinato, eccetto una piccola regione ordinata attorno a noi. Ma non è ciò che vediamo. Richard Feynman osservò che, se l’universo fosse una fluttuazione casuale, non ci aspetteremmo di trovare ordine dove non lo abbiamo ancora osservato. Quindi, il fatto che l’universo intero appaia ordinato suggerisce che il nostro cosmo non sia una fluttuazione, ma piuttosto una memoria delle sue condizioni iniziali, sebbene non sappiamo ancora perché quelle condizioni fossero così improbabili.

    Alcuni cosmologi hanno preso in considerazione l’idea dei cervelli di Boltzmann per escludere certi modelli teorici. Se un modello prevede un numero maggiore di cervelli di Boltzmann rispetto a osservatori “normali”, allora quel modello risulterebbe insostenibile, perché implicherebbe che noi stessi saremmo con maggiore probabilità cervelli di Boltzmann, e non esseri reali. Tuttavia, questi ragionamenti sono complessi e sollevano dubbi profondi: come possiamo essere sicuri di non essere noi stessi cervelli di Boltzmann con false memorie e percezioni di un universo che in realtà non esiste?

    Questo dubbio radicale, già affrontato da Cartesio con il suo “dubbio iperbolico”, non ha una risposta definitiva. Restiamo così sospesi tra le intuizioni geniali di Boltzmann e i limiti della nostra capacità di comprendere l’universo.

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