Molte persone credono che la teoria della relatività si fondi sull’idea che “tutto è relativo”, ma la verità è che questo è un fraintendimento. La realtà è esattamente l’opposto: l’obiettivo della fisica è che le leggi che governano l’universo siano le stesse per tutti, indipendentemente dal sistema di riferimento in cui ci si trova. La teoria della relatività nasce proprio da questo intento: formulare leggi fisiche invarianti per ogni osservatore.
Tuttavia, il primo a intuire che le leggi della fisica dovessero essere identiche per tutti non fu Einstein, ma Galileo. Per spiegare questa intuizione, Galileo propose un esperimento mentale: immaginate di trovarvi chiusi nella stiva di una nave, senza poter guardare fuori. Provate a determinare, solo attraverso esperimenti interni, se la nave si sta muovendo oppure è ferma. Galileo dimostrò che nessun esperimento meccanico—che si tratti di lanciare oggetti o usare pendoli—può rivelare se la nave si muove a velocità costante e senza cambiare direzione.
Da questa osservazione, Galileo dedusse l’esistenza dei cosiddetti sistemi di riferimento inerziali, nei quali le leggi della fisica rimangono invariate. Tali sistemi sono quelli che si muovono a velocità costante senza accelerare né cambiare direzione. Questa visione si rivelò corretta finché la fisica si limitava allo studio dei movimenti dei corpi materiali. Tuttavia, quando vennero scoperte le onde elettromagnetiche e i fisici iniziarono a esplorare l’elettromagnetismo, le leggi sembravano non funzionare più in maniera uniforme in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Einstein rifletté a lungo su questo problema, interrogandosi su cosa accadrebbe se si potesse “inseguire” un’onda elettromagnetica alla sua stessa velocità. Si chiedeva: l’oscillazione dell’onda si fermerebbe? La luce si arresterebbe? A un certo punto, ebbe un’intuizione rivoluzionaria: la velocità della luce doveva essere identica per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro stato di moto. Questo concetto, che sembra apparentemente innocuo, contraddice però il modo consueto in cui trattiamo le velocità.
Tornando all’esperimento della nave: se lanciamo una pallina al suo interno, la velocità con cui si muove per chi è all’esterno si somma a quella della nave. Ma per Einstein, questa regola non si applica alla luce. Se accendiamo una luce all’interno della nave, la sua velocità sarà sempre di 300.000 km/s sia per chi è a bordo sia per chi osserva da fuori, indipendentemente dal moto della nave. Questa conclusione, apparentemente banale, porta a conseguenze sconcertanti.
Consideriamo come misuriamo il tempo, ad esempio con una clessidra. Immaginiamo ora una clessidra particolare, composta da due specchi tra cui rimbalza un raggio di luce. Il tempo che passa tra un rimbalzo e l’altro rappresenta il ticchettio dell’orologio. Ma se questa clessidra luminosa si muove rispetto a noi, il percorso che la luce deve compiere diventa più lungo, e dato che la velocità della luce rimane costante, il tempo impiegato deve allungarsi. In altre parole, un orologio in movimento rispetto a noi ticchetta più lentamente.
Questa dilatazione del tempo non è l’unica conseguenza. Immaginiamo ora un razzo che viaggia verso Alfa Centauri. Per chi è a bordo, l’orologio segna un certo intervallo di tempo per il viaggio. Tuttavia, per un osservatore esterno, il tempo sul razzo scorre più lentamente. Come si spiega? Lo spazio stesso si contrae per l’osservatore in movimento: chi è all’interno del razzo misura una distanza più breve. In sostanza, il tempo e lo spazio dipendono dallo stato di moto dell’osservatore.
C’è un ulteriore aspetto intrigante: la simultaneità non è più assoluta. Immaginate di trovarvi a metà della stiva della nave e di inviare due raggi luminosi nelle direzioni opposte. Per voi, essendo equidistanti, i raggi arriveranno simultaneamente alle due estremità. Ma un osservatore esterno, vedendo la nave muoversi, noterà che uno dei raggi raggiunge la sua destinazione prima dell’altro. Questo dimostra che la simultaneità dipende dallo stato di moto dell’osservatore.
La grande intuizione di Einstein alla base della relatività ristretta fu proprio questa: prendere la velocità della luce come costante universale. Grazie a questa idea, riuscì a formulare le leggi dell’elettromagnetismo in modo che risultassero valide per tutti i sistemi di riferimento inerziali, quelli che si muovono a velocità costante e senza accelerare.